by TheCoevas: Musicians of Words / Strumentisti di Parole

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Coeva: Dip yourself in a brand new world

Coeva English ebook version(Kindle edition)

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Extract from the novel “Coeva” – Estratto dal romanzo “Coeva”

STRANGE INHIBITIONS

 (Where the second mask is unveiled and Vèlle assumes a lesbian female jackal’s looks)

A hidden crocodile was on the moved steep bank with a bold heart. A naked Gentlewoman was training him with a palmed scourge, as it has always been. An elephants herd, ardently effervescents, psalmodized gigolo worm’s tale.

The second pretence was a Felis Pardus’ one. Shining hymenopterans, which they were used to prick meats at the Tropic of Capricorn, announced Her appearance. Like an evil enemy were shown, myself was compelled to conform myself to her looks, assuming the looks of a tawny Srgala. The Leopard Queen drew perceptions without any impediment, while she was sheltering in safety from the mind. She perceived places and times, revived boiling over and beating, provoking and assuaging. Transformed into very desirous nightmares, under this tension, my nerves began to relax. Lady Leopard of my devotion, dark angel, trail, fire-fly, solve my lechery! Cream of feedback the distorsion feeds me in every raw meal, wild, I wriggle. Might I be the myrrh-oiled Nubian, come to lay my bait. I spread traps with a spotted cage in my hand. My claws are full of resin. So she spoke to me. The apple-tree open thy mouth! I keep green in every season, my seeds are like thy teeth. The fig-tree open thy second mouth! Catechized the Queen.

Leopard Queen: To the water’d lands, to the virgin lands being whipped, my little, insignificant Jackal! Door-knockers are open, latchs are molten to th’ entrance of my canal. I can produce a good nectar and Tomorrow shall be the great day.

Jackal: O, ay, I faint to the merely imagination to be a slave and blindfolded destiny to an hard authoress. When you are in your best mood strip me, treat me as you asre used to and if you will relieve your fancy do it. I would creep on your gilded boat like a worm! Do not let me wither in a vessel but squash me in a tome.

Leopard Queen: I become inflamed with an orange magma. Feverishly I excite, tortuosly, to make totter an Amazon’s mane.

With the thirst no more hiss to the womb, some pillows reduced the wait while laid, I waited for the eclipse.

Leopard Queen: Be not fooled, I shall never tame my rebellious energy. I recall to my groin an unmentionable maze. I, queen, crowd in pockets passion and power.

Jackal: I have the fidgets. I pray thee, call the Monitor Lizard Prince! Sliding down, I sleep rocked within a fruit. We are cover’d with  lichens and bigger thy legs are.

Leopard Queen: Sleek the snakes on thy head. I am the estrous’d Queen, I can do everything, locking thy mean univers with a waxed padlock. I am clouds and rain, I am Yun yu. I am a bitter pompe jetsam and a glazed-leather’d lizard tongue. I roar in thy sphincter and the rice-field come straight in thy mouth. I am an intented fellatio. Thou gamblest, my foul Jackal.

Jackal: My desire of killer thigs is humour-pilloried, of violent lavative, drenched with fizzy calendula.

Leopard Queen: Don’t discredit me, thou dirty beast!

Jackal: When the sponge is high-water’d, I lick shameless.

Leopard Queen: I impose on th’ transgressor his transgression, on th’ sinner her sin.

Jackal: I receive brambles and thistles to rub on my skin.

Leopard Queen: Remember well! I shall punish thee if thou art not respectful with me.

Jackal: Tie me of total depilation.

Leopard Queen: Ha ha ha, with thirsty pleasure to scourge’s cure, in libido’s secret wardrobes, I dedicate and inflict thee.

Jackal: Broken and surmounted, I have no reserve.

Leopard Queen: This day shall not be repeated, time’s splinter, great gem. This day shall never return. Every instant is worth an invaluable gem.

Jackal: Expired blow comes out and inhaled blow comes into at will, my Queen.

Leopard Queen: When I’m throbbin’, I disclose the entire world, know that.

Jackal: A jackal, piece of meat to be used; ’tis just what I am now, a jackal.

Leopard Queen: Repetitiveness is devastating: bordo for motion, tragedy for th’ listener, intelligence’s prolapse.

Jackal: Arrogant and inflexible thou carriest me to th’ new. I am sucking fingers to an inquisitress.

Leopard Queen: A sluggard’s fruit is not granted at invasion’s first attempt.

Jackal: I am filled with magnesium and potassium.

Leopard Queen: Thou art almost without saliva! Let thee unclose. I will no more.

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STRANE INIBIZIONI

(Dove si disvela la seconda maschera e Vèlle prende le sembianze di una saffica sciacallo)

Un coccodrillo acquattato stava sulla mota ripa con cuore audace. Una Gentildonna nuda lo ammaestrava con un nerbo di palma, come era sempre stato. Un branco d’elefanti, d’ardore effervescenti, salmodiò la novella del bruco gigolò.

La seconda finzione fu quella di un Felis Pardus. Imenotteri luccicanti, che solevano punzecchiare carni al Tropico del Capricorno, annunciarono la Sua comparsa. Come se un malvagio nemico si manifestasse, io stessa fui costretta ad adeguarmi al suo sembiante, assumendo aspetto di fulvo Srgàlà. La Regina Leopardo disegnò percezioni senza remore, mentre si riparava al sicuro della mente. Percepì luoghi e tempi, ravvivò ribollendo e pulsando, provocando e sedando. Trasformati in incubi vogliosissimi, sotto tale tensione, i miei nervi co- minciarono a distendersi. Signora Leopardo della mia devozione, angelo atro, scia, lucciola, mia lussuria ri- solvi! Crema di feedback la distorsione mi alimenta in ogni pasto crudo, selvaggia, mi divincolo. Potessi essere la nubiana unta di mirra, venuta a tendere la mia esca. Dissemino trappole con in mano una gabbia maculata. I miei artigli sono pieni di resina. Così mi parlò. Il melo apra la tua bocca! Rimango verde in ogni stagione, i miei semi sono simili ai tuoi denti. L’albero di fico apra la tua seconda bocca! Catechizzò la Regina.

Regina Leopardo: Fino alle terre irrigate, fino alle terre vergini a colpi di verga, mia piccola, insignificante Sciacallo! I battenti sono aperti, i chiavistelli sciolti all’imbocco del mio canale. So produrre del buon nettare e domani è il gran giorno. Sciacallo: Oh, sì, svengo al sol immaginare d’esser destino schiavo e bendato di un’autrice hard. Quando sei di buon umore sfogliami, trattami come d’uso e se vorrai levarti la voglia fallo pure. Vorrei strisciare sulla tua aurea navicella come un lombrico! Non lasciarmi appassire in un vaso ma schiacciami in un tomo. Regina Leopardo: M’accendo di magma d’arancio. Febbrilmente mi stuzzico, in modo tortuoso, da far traballare la criniera di un’Amazzone.

Tra sete non più sibilo al ventre, cuscini attutirono l’attesa mentre distesa, attesi l’eclissi.

Regina Leopardo: Non illuderti, non domerò mai la mia energia ribelle. Richiamo al mio inguine un inconfessabile labirinto. Io, regina, stipo in tasche passione e potere.

54Sciacallo: Ho smania. Ti supplico, convoca il Principe Varano! Scivolando giù, dormo cullata all’interno di un frutto. Siamo ricoperte di licheni e più grandi sono le tue zampe. Regina Leopardo: Lisciati le serpi sulla testa. Io sono la Regina in calore, posso fare tutto, anche serrare il tuo miserabile universo con un lucchetto di cera. Io sono nuvole e pioggia, sono Yun yu. Sono amaro gettito di pompa e lingua lucertola di cuoio satinato. Ruggisco nel tuo sfintere e la risaia ti viene dritta in bocca. Sono fellatio d’intenti. Hai giocato d’azzardo, mia turpe sciacallo.

Sciacallo: In gogna d’umori langue il mio desiderio di cosce assassine, di purghe violente, intrise di frizzante calendula. Regina Leopardo: Non osare screditarmi, lurida bestia! Sciacallo: Quando la spugna è colma, lecco spudorata.

Regina Leopardo: Io impongo sul trasgressore la sua trasgressione, alla peccatrice il suo peccato. Sciacallo: Ricevo rovi e cardi da strofinare sulla pelle. Regina Leopardo: Rammenta bene! Ti castigo se non mi rispetti.

Sciacallo: Legami di depilazione totale. Regina Leopardo: Ah ah ah, con smaniosa goduria alla cura dello staffile, in ar- madi segreti della libido, mi dedico e t’infliggo. Sciacallo: Infranta e superata, non ho più alcun ritegno. Regina Leopardo: Non si ripeta due volte questo giorno, scheggia di tempo, grande gemma. Mai più tornerà questo giorno. Ogni istante vale una gemma inestima- bile. Sciacallo: Il soffio espirato esce e il soffio inspirato entra a proprio piacimento, mia Regina. Regina Leopardo: Quando io stessa fremo, dispiego il mondo intero, sappilo. Sciacallo: Uno sciacallo, pezzo di carne da usare; è proprio questo che sono ora, uno sciacallo. Regina Leopardo: La ripetitività è devastante: noia per il movimento, tragedia per l’ascoltatore, prolasso dell’intelligere. Sciacallo: Tracotante ed inflessibile mi trasporti nell’inedito. Succhio dita ad una inquisitrice. Regina Leopardo: Il frutto di un mollusco non si concede al primo tentativo d’invasione. Sciacallo: Mi riempio di magnesio e potassio. Regina Leopardo: Sei quasi senza saliva! Lasciati schiudere. Non ho voglia d’altro.

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Coeva’s review on “L’Indice dei libri del mese” magazine n 4 Aprile 2012 by Alberto Fea

Gloria a Te Caos. E’ uno degli inni di questa fiaba nella quale si mescolano passato, presente e futuro. Leggiamo di Strauss: topo filosofo, laureato in ingegneria elettronica. Ama Dostoevskij e Conrad. Creativo e sottile può essere insopportabile. Kama è bellezza virile e spontanea. Velle è femminilità voluttuosa e ardente. Accademia comunica in modo eccessivo. Quando tace, il suo sguardo si fa penetrante. Ha braccia lunghe e la fronte attraversata da rughe. Ginger arriva saltellando. Ogni tanto punta l’indice al cielo. È allegro e vivace. Kafkasìa ha capelli magici: crescono un po’ quando fa domande.

Incontrare questi e gli altri personaggi ci immerge in un’esperienza curiosa. Gli eventi sono affiancati gli uni agli altri senza regole apparenti. Oscuri dialoghi dal vago sapore spirituale lasciano il posto a frenesie sessuali. Litanie di frasi ironiche senza punteggiatura, luoghi comuni, pensieri di saggezza hanno il suono dell’acqua che scorre da un rubinetto aperto.

È un racconto con tante facce, come la nostra vita probabilmente. Siamo più seri sul lavoro e brillanti con gli amici. Ci sentiamo liberi alle feste. Ci contraddiciamo. Ripetiamo lo stesso copione: interpretiamo prima una parte poi un’altra in un ciclo indefinito. Eppure siamo sempre noi. E proprio noi siamo chiamati in causa nelle ultime pagine. La fiaba si chiude con sequenze di lettere, di numeri e poi ancora con segni che possono far pensare a macchie di Rorschach. Ebbene, dopo tutto ciò, ci viene offerta un’opportunità: scegliere un’altra conclusione che ci soddisfi per bene. Dopo averla scritta, potremmo inviarla alla casa editrice. Perchè non incontrarci per scambiarci idee di persona? Usciremmo dalla carta. Ci vedremmo, ci annuseremmo, ci assaggeremmo. Gli autori di Coeva ci ricordano che le parole non bastano e la vita va oltre. Siamo ancora noi a leggere e a cercare le virgole.

Alberto Fea

 Glory to Thee Chaos. And ‘one of the hymns of this fairy tale in which mingle the past, present and future. We read of Strauss: mouse philosopher, who graduated in electrical engineering. He loves Dostoyevsky and Conrad. Creative and thin can be unbearable. Kama is spontaneous and manly beauty. Velle is voluptuous and passionate femininity. Academy communicates excessive. When silent, his gaze is penetrating. He has long arms and forehead crossed by wrinkles. Ginger comes hopping. Every now and then point the finger to the sky. It is cheerful and lively. Kafkasìa has magical hair: grow a bit ‘when asking questions.

Meet these and other characters immerses us in a curious experience. Events are next to each other with no apparent rules. Dark, vaguely spiritual dialogues give way to sexual frenzy. Litany of ironic sentences without punctuation, clichés, thoughts of wisdom have the sound of water flowing from a tap running.

It is a story with many faces, like our lives probably. We are more serious at work and brilliant with friends. We feel free to parties. There contradict. We repeat the same script: we interpret the first part and then another in an indefinite loop. Yet we are still us. And we are called into question in the back pages. The tale ends with sequences of letters, numbers, and then again with signs that may make you think of Rorschach inkblots. Well, after all, we are offered an opportunity: select a different conclusion that satisfies us for good. After writing it, we could send it to the publisher. Why not meet to exchange ideas in person? Just exit card. There we will see, there annuseremmo, there assaggeremmo. Contemporary authors remind us that words are not enough and the life beyond. We still look for us to read and commas.

 Alberto Fea

La misura dell’erba di Pierluigi Cappello

La misura dell’erba

Il caffè può essere un caffè qualsiasi, l’ordinazione anche
ma quando attendo stretto dall’ansia di chi attende
faccio delle mie dita tempesta…

Zeugma

Zeugma: (legame) collegamento di un verbo a due o più termini della frase che invece richiederebbero ognuno singolarmente un verbo specifico. Es. ‘parlare e lagrimar vedraimi insieme’, dove parlare avrebbe dovuto avere ‘mi sentirai’ e non ‘mi vedrai’.

Sospensione

figura retorica consistente nel lasciare volutamente interrotto un discorso.

Sinestesia

(dal greco syn, ‘insieme’ e aisthánestai, ‘percepire’): procedimento retorico che consiste nell’associare, all’interno di un’unica immagine, sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che in un rapporto di reciproche interferenze danno origine a un’immagine vividamente inedita: ad esempio:

  • colore caldo (l’impressione visiva è unita a quella tattile);
  • voce chiara (l’impressione acustica è unita a quella visiva);
  • musica dolce (l’impressione acustica è accostata a quella gustativa).

Un simile procedimento, non estraneo alla poesia antica, diviene particolarmente frequente a partire dai poeti simbolisti e costituisce poi uno stilema tipico dell’area ermetica della poesia italiana del Novecento. Tra gli innumerevoli esempi che si potrebbero addurre, basti il celebre ‘urlo nero della madre’ di S. Quasimodo, in cui due sensazioni diverse, che interessano, la prima (urlo), il campo sensoriale dell’udito, la seconda (nero), quello della vista, si fondono in un’immagine che suggerisce l’idea di angoscia, di disperazione e di paura, in una temperie cupamente drammatica.

Sineddoche

(dal greco synekdékhomai, ‘prendo insieme’): figura semantica consistente nell’utilizzazione in senso figurato di una parola di significato più o meno ampio della parola propria. Fondata essenzialmente su un rapporto di estensione del significato della parola, questa figura esprime:

  • la parte per il tutto (vela invece di ‘nave’);
  • il tutto per la parte (una borsa di foca, per indicare una borsa fatta di pelle di foca);
  • il singolare per il plurale e viceversa (l’italiano è molto sportivo);
  • il genere per la specie (mortale per

Sinchisi

[sìn-chi-s\i] sostantivo f. inv. Figura retorica consistente in una modificazione dell’ordine sintattico normale di una frase
• dal lat. tardo synchysim, gr. synkhysis deriv. di synkhêin “mescolare” • sec. XVIII

Similitudine

(dal latino similitudo, ‘somiglianza’): figura retorica consistente in un paragone istituito tra immagini, cose, persone e situazioni, attraverso la mediazione di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (come, simile a, a somiglianza di).

Sillessi

Figura retorica della grammatica classica, secondo la quale ciò che si riferisce soltanto a una cosa o persona viene arbitrariamente esteso ad altra cosa o persona che, nell’enunciato, segue alla prima: ad esempio: ‘Borea e Zefiro che soffiano nella Tracia’ (ma soltanto Borea soffia nella Tracia)

Reticenza

(dal latino reticere, ‘tacere’): consiste nell’interrompere e lasciare in sospeso una frase facendone intuire al lettore o all’ascoltatore la conclusione, conclusione che comunque viene taciuta deliberatamente per creare nell’ascoltatore o nel lettore una particolare e viva impressione (cfr. G. Verga, La morte di Mastro Don Gesualdo).

Reiterazione

figura retorica consistente nel ripetere uno stesso concetto con altre parole.

Prosopopea

(dal greco prósopon, ‘volto’ e poiéin, ‘fare’) figura retorica, di gusto classico, consistente nell’introdurre a parlare un personaggio assente o defunto, o anche cose astratte e inanimate, come se fossero persone reali. Molti e celebri sono gli esempi, che evidenziano come la poesia abbia sempre fatto un largo uso di una simile tecnica espressiva, dalla personificazione della Fama nell’Eneide virgiliana, a quella della Frode nell’Orlando Furioso di L. Ariosto, fino ai cipressi introdotti a parlare in una celebre lirica (Davanti San Guido) di Carducci.